Inediti - I vostri testi
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I Sommersi (IMED MEHADHEB)

1999

PREMIATO ALLA VI EDIZIONE DEL CONCORSO LETTERARIO Eks&Tra

MEDAGLIA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

Pubblicato in ANIME IN VIAGGIO da adnkronos LIBRI.

"Il futuro mi preoccupa, perché è il luogo dove penso di passare il resto della mia vita."

Woody Allen

Il sole declinava al tramonto e si sentiva alitare un’aria di mare, mista all’odore di frescura diffuso dalla pioggia che era caduta tutto il giorno. Ai lati dei fangosi passaggi, sedevano uomini e donne che si erano incontrati lungo la strada della vita e guardavano il fiume Vjosa che quel giorno era immobile sotto il cielo, e tuttavia con un lento moto in superficie come se in quel riposo respirasse. Qualcosa in loro offriva una debole eco a quel moto e agitava le profondità della loro memoria producendovi un tumulto. Un uomo dai capelli candidi, che accoppiava alla maschera della vecchiaia quella della tristezza teneva i pugni sulle ginocchia e il capo reclino in avanti come se stesse guardando in un precipizio, poi sollevò il viso alla brezza fresca e parlò in kurdo ad una donna che stava gingillando un bamboccio che poppava gagliardamente, palpeggiando il seno con la zampetta rosa. A poca distanza, alcuni bambini vestiti dimessi giocavano a fare buchi in terra, e sul lungofiume un piccolo solitario gettava indolentemente sassolini nell’acqua. Inaspettatamente, da una strada sterrata che s’internava in mezzo ad un boschetto, sbucò un gommone trascinato da un trattore e tutti, donne, uomini e bambini, si alzarono in piedi.

— Rrini ulur, rrini ulur, state seduti — gridò un giovane albanese gesticolando per farsi intendere.

Tutti obbedirono, pochi parlarono, e se qualcuno aveva qualcosa da dire, poteva solo riferirsi al suo futuro perché il futuro era ancora suo e lo poteva dipingere nei colori che preferiva. E mentre le donne covavano con gli occhi i bambini per tema di un incidente con quell’espressione ferina propria della maternità, il gommone veniva messo in acqua e assicurato ad un palo, al quale aderiva un marciume filamentoso come capigliature verdastre.

Attraverso il sentiero che si attorcigliava tra i cespugli bassi fino al fiume, giunse un giovane, uscito dalle più insondabili densità dell’ombra sociale, che occupava la strada con un’irritante aria di superiorità e che pareva fare grazia al prossimo della sua vista. Accompagnava una ragazza che indossava dei fuseaux imitazione leopardo e sventolava le sue gambe perfette con la nonchalance di una soubrette d’avanspettacolo. Appena dietro di loro, una donna camminava in mezzo a due uomini e un raggio di sole orizzontale sfiorava il volto della bambina che teneva in braccio, addormentata, con la boccuccia aperta che sembrava un angelo che bevesse la luce.

— Ma è possibile, Imer — domandò uno dei due uomini all’altro — che da quando sono rientrato in Albania non sono riuscito a vederti?

— Gezim, cugino caro, è colpa del governo turco — disse Imer, semplificando al massimo la sua risposta — e con la casa piena di profughi kurdi sono costretto a fare viaggi in continuazione.

— Allora, presto diventerai ricco! — Esclamò Gezim stampandogli una pacca sulle spalle.